
Conduttore moroso e crisi da pandemia: respinta l’istanza di rilascio
Il Tribunale di Firenze si pronuncia su un caso di mancato pagamento dei canoni di locazione di immobile locato per uso commerciale (ordinanza 27 gennaio 2021)

Ancora una volta si è di fronte ad un caso di mancato pagamento di canoni, da parte di un conduttore di immobile locato per uso commerciale, legato alla c.d. ’emergenza sanitaria’.
Il periodo di morosità da cui ha preso le mosse la notificazione della intimazione di sfratto va da febbraio a giugno 2020 e l’importo dovuto comprende anche i connessi oneri condominiali. Non è dato sapere, dal testo del provvedimento, se l’attività svolta nell’immobile sia stata interrotta dalle chiusure. In realtà pare di no, dal momento che nell’ordinanza 27 gennaio 2021 (testo in calce) del Tribunale di Firenze si legge che, stando alla difesa di parte conduttrice, “il mancato pagamento dei canoni è stato determinato dalla situazione economica conseguente alla sopravvenuta pandemia da Covid19”.
Se la stessa avesse lamentato la chiusura dell’attività a causa dei provvedimenti autoritativi, avrebbe sicuramente riportato il fatto ed è da supporre che, per l’obiettiva sua rilevanza, il giudice ne avrebbe fatto menzione nel provvedimento.
Il conduttore ha quindi domandato la rideterminazione del canone locatizio, mentre il locatore ha richiesto la pronuncia dell’ordinanza di rilascio, ex art. 665. c.p.c.
Il giudice, dopo la prima udienza ed a scioglimento della riserva, ha ritenuto la sussistenza dei gravi motivi per la reiezione dell’istanza, altresì disponendo il mutamento del rito, fissando l’udienza di discussione e assegnando un termine alle parti per il deposito di memorie integrative.
Il perché della decisione è spiegato in una motivazione succinta, sì, ma a suo modo articolata.
Il primo elemento che si incontra è la notorietà degli effetti pregiudizievoli della pandemia da Covid-19 e dei provvedimenti adottati per contrastarla. Ripercussioni che si fanno particolarmente negative nelle zone turistiche (come è la città di Firenze), sia per “le limitazioni all’esercizio delle attività commerciali”, sia per “il venir meno o l’attenuarsi notevolmente della presenza dei turisti”. Si tratta di circostanze imprevedibili e straordinarie che, nel loro sopraggiungere – scrive il giudice -, hanno “alterato il rapporto tra le prestazioni contrattuali” stabilito nel contratto di locazione.
Si osserva che qui, come in altre analoghe controversie occorse in questo tempo, non sembra essere stata né richiamata né prodotta l’evidenza oggettiva specifica della difficoltà in cui si sarebbe trovato l’esercizio commerciale o comunque l’attività esercitata nell’immobile. Invero, posto nei termini in cui lo si legge nel provvedimento, campeggia un fattore causale di tipo generale, nella sua semplice auto-evidenza e ritenuta o pretesa auto-sufficienza. Dunque, vale il relativo argomento a liberare la parte interessata dallo sforzo di dimostrare, con prova circostanziata, il nesso eziologico tra misure di contenimento della pandemia e, più in generale, la grave situazione generatasi, da un lato, e l’inadempimento contrattuale, dall’altro?
Premessa la detta sopravvenuta situazione, il giudice ha proseguito indicando le disposizioni da tenere in considerazione – una sorta di perimetro normativo:
- l’art. 1175 c.c., per cui creditore e debitore debbono comportarsi secondo le regole della correttezza;
- l’art. 1375 c.c., per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede;
- l’art. 1374 c.c., per cui il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo esplicitato, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano in base alla legge o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità;
- l’art. 91, comma 1, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito in l. 24 aprile 2020, n. 27 (per il quale “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”), da valutare assieme all’art. 1623 c.c. (al cui comma 1 si legge che “se, in conseguenza di una disposizione di legge, o di un provvedimento dell’autorità riguardanti la gestione produttiva, il rapporto contrattuale risulta notevolmente modificato in modo che le parti ne risentano rispettivamente una perdita e un vantaggio, può essere richiesto un aumento o una diminuzione del fitto ovvero, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto”).
Nel prosieguo del procedimento, cioè nel giudizio di merito, la condotta delle parti in controversia sarà oggetto di una adeguata valutazione proprio alla luce delle disposizioni sopra indicate.